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Enrico Barsanti

LA PREVISIONE
DEI
TERREMOTI

Capitolo IV


NOZIONI PRELIMINARI SUL CAMPO MAGNETICO TERRESTRE E LE SUE VARIAZIONI


Indice del Capitolo IV



NOZIONI E MISURE DEL CAMPO GEOMAGNETICO

I campi magnetici sono rappresentabili visivamente con linee di forza a cui è di regola abbinato un vettore. Il campo geomagnetico è il risultato dell'azione combinata di alcuni campi magnetici, il principale dei quali è detto campo primario. Se si prende un ago magnetico e lo si lascia ruotare liberamente in sospensione cardanica, esso indicherà la direzione del campo terrestre nel luogo in cui si trova. Il vettore campo magnetico risulta parallelo all'ago ed è rappresentabile geograficamente con tre elementi fondamentali: la direzione, rispetto al meridiano geografico, del piano verticale in cui esso è contenuto, la sua inclinazione in tale piano, rispetto all'orizzonte, e la sua intensità.
Il piano verticale corrisponde al meridiano magnetico e l'angolo diedro che esso forma col meridiano geografico del luogo in cui viene misurato costituisce la DECLINAZIONE MAGNETICA.
L'inclinazione del vettore nel piano del meridiano magnetico, cioè l'angolo che esso forma col piano dell'orizzonte, costituisce l'INCLINAZIONE MAGNETICA.
L'intensità del campo, o forza magnetica, rappresenta (intuitivamente) quella forza che fa allineare l'ago in modo parallelo al vettore campo: tanto maggiore è questa forza, tanto più esso si orienterà decisamente e offrirà maggiore resistenza alle eventuali forze di disturbo. L'intensità può essere rilevata attraverso la coppia meccanica che tende ad orientare l'ago magnetico parallelamente al vettore campo, dove il momento di questa coppia è il prodotto vettoriale del vettore proprio dell'ago (che definisce il suo momento magnetico) e del vettore campo (che definisce la forza magnetica di quest'ultimo). In un campo magnetico l'intensità è valutabile anche dalla densità e dall'ampiezza delle linee di forza.
Bisogna ricordare che il momento magnetico M è dato dal prodotto dell'intensità di un polo p per la distanza d tra i due poli: M = pd.
Nelle vicinanze di un polo di un magnete molto lungo, l'intensità del campo, a distanza r, è proporzionale a 1 / r2 (legge di Coulomb); se il magnete, di momento pd, è piccolo e se r > d, l'intensità del campo, invece, è proporzionale a pd / r3.
L'unità di misura per l'intensità del campo magnetico è l'oersted (e.m.u.), equivalente a 1000 as / 4m (as=ampèrespira, m=metro), ma in geofisica viene usato il gauss, numericamente uguale. Un gamma equivale a 10-5 gauss, e si usa in pratica nel rilevamento delle variazioni geomagnetiche d'intensità, essendo il valore massimo d'intensità molto basso e mai superiore a 0,6 gauss. Viene, però, ormai sempre di più usata, quale unità di misura, il tesla (unità SI), equivalente a 104 gauss:
1 gamma equivale a 10-5 gauss e a 10-9 tesla (1 nanotesla).
La declinazione e l'inclinazione si misurano in gradi sessagesimali.
Il campo totale F si può scomporre in una componente orizzontale H e in una componente verticale Z. L'inclinazione I, allora, è l'angolo tra F e H, e la declinazione D è l'angolo tra la componente orizzontale e il meridiano geografico.
Valgono le seguenti relazioni:

H = F·cos(I);
Z = F·sin(I);
Z = H·tg(I);
H2 + Z2 = F2;
I = 0 se Z = 0;
D = 0 se H = 0.

La declinazione è positiva se il polo nord dell'ago si rivolge verso oriente, ed è negativa se si rivolge verso occidente; l'inclinazione è positiva, o boreale, se il polo nord dell'ago si dispone verso il basso ed è negativa, o australe, se si dispone verso l'alto.
I valori dei tre elementi del campo variano nello spazio e nel tempo; per avere un'idea di quanto possano valere, si consideri che agli inizi degli anni Novanta in Toscana, ad esempio, la declinazione era di circa 11 primi verso oriente, l'inclinazione di circa 60 gradi verso il basso, la componente orizzontale dell'intensità di circa 0,23 gauss, quella verticale di circa 0,40 gauss e F risultava di 0,46 gauss.
La declinazione magnetica si può misurare con la bussola di declinazione, l'inclinazione con la bussola di inclinazione (inclinometro) e l'intensità si misurava, un tempo, per lo più indirettamente, determinando la sua componente orizzontale e quella verticale.
A partire dagli anni Sessanta, però, negli osservatori magnetici vengono comunemente usati strumenti che si avvalgono dell'applicazione di principi della fisica atomica e quantistica. Questi hanno completamente rivoluzionato il modo di misurare il campo terrestre, determinando direttamente l'intensità assoluta, che è un valore scalare, da cui si può ricavare la direzione del campo attraverso la composizione vettoriale delle intensità delle componenti, anziché con la misurazione degli angoli. Questi strumenti sono:
1) il magnetometro digitale a precessione protonica, che permette la misurazione continua ed esatta dell'intensità totale, calcolando la frequenza della precessione libera dei protoni nell'acqua, basandosi sul loro momento magnetico;
2) il magnetometro al rubidio a pressione ottica, che funziona sul principio dell'elettronica quantica.
Nelle stazioni magnetiche e dove in genere si richiede un rilevamento saltuario, invece, si usa uno strumento sostanzialmente tradizionale: il magnetometro da campagna G.S.I. ad induzione elettromagnetica. Si tratta di uno strumento portatile che non permette un monitoraggio continuo, ma soltanto un rilevamento temporaneo e manuale di tutti gli elementi del campo magnetico.

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VARIAZIONI GEOMAGNETICHE

Le variazioni del campo geomagnetico, che possiamo rilevare sulla superficie terrestre, sono di due tipi fondamentali:

  1. variazioni generali proprie del campo primario, anche se influenzato da fattori esterni, con modificazione della componente dipolare e della componente non dipolare;
  2. variazioni generali e locali dovute a cause estranee al campo primario, che non modificano il dipolarismo terrestre.

Variazioni proprie del campo primario
Dalle osservazioni del campo geomagnetico, si ricava un dipolo centrale i cui assi, prolungati, incontrano la superficie terrestre in due punti, chiamati poli geomagnetici. Questi poli, però, non corrispondono ai punti (poli magnetici) in cui la componente orizzontale H è nulla e l'inclinazione misura 90º. Pertanto, i poli geomagnetici e quelli magnetici non coincidono, e la differenza tra campo dipolare e campo osservato si chiama campo non dipolare o anomalia geomagnetica.
I poli magnetici e geomagnetici si spostano lentamente e regolarmente in lassi di tempo piuttosto lunghi (variazioni secolari), con valori differenti tra le varie regioni, notandosi il fenomeno soprattutto per quanto riguarda la declinazione. Mediamente, in Italia (ad esempio), la declinazione varia ovunque di circa 6 primi verso Est ogni anno, ma tale variazione sta diminuendo (all'inizio del secolo era di 10 primi) e tra qualche decennio potrebbe invertire la tendenza, spostandosi verso occidente. Si hanno dati precisi dei valori della declinazione a Londra, a partire dal 1576, quando D valeva 11º30' Est. Negli anni successivi tale valore è cambiato gradualmente fino a diventare ben 24º Ovest nel 1823, prima che il vettore campo cominciasse nuovamente a spostarsi verso oriente. È probabile, addirittura, che in un passato molto remoto vi siano state perfino delle inversioni dei poli, come la magnetizzazione residua di alcune rocce lascerebbe intendere, ma la cosa è tutt'altro che certa.

Variazioni estranee al campo primario
Le variazioni estranee al campo primario, di origine naturale (escludendo quindi quelle dovute all'azione dell'uomo) e non legate all'attività sismica, sono di due tipi: le anomalie crostali e le perturbazioni magnetiche.
Le prime variano, per così dire, secondo lo spazio e riguardano i tre elementi del campo magnetico misurati in determinati luoghi con valori che risultano differenti da quelli che ci si sarebbe aspettati di trovare, considerando il campo magnetico terrestre come un "dipolo magnetico". Le cause di queste anomalie sono da attribuirsi alla magnetizzazione delle rocce dei luoghi dove vengono rilevate, che formano dei deboli campi magnetici che si compongono con quello terrestre. Questo è il caso delle vaste anomalie sistematiche (come quella della Siberia) e il caso anche di anomalie più irregolari e circoscritte (come quella famosa di Kursk, a 400 chilometri a sud di Mosca). In Italia si hanno anomalie magnetiche nelle isole Capraia, d'Elba, Lipari, Pantelleria, nella provincia di Genova, nelle provincie di Napoli e Caserta, nella Sardegna centro occidentale e nella zona etnea della Sicilia; per la sola declinazione, oltre alle precedenti zone, si registrano anomalie anche nel Piemonte nord occidentale.
Le seconde (perturbazioni magnetiche) variano, invece, in base al tempo, riguardando un po' tutta la superficie terrestre. Esse sono sostanzialmente regolari e periodiche, e, pur avendo entità diversa da luogo a luogo, possono considerarsi in modo indipendente dalla località in cui vengono rilevate. Ci sono a questo riguardo:

Particolarità delle variazioni geomagnetiche
Le caratteristiche delle variazioni del campo magnetico terrestre, in ogni luogo di rilevamento, riguardano:

  1. il VERSO della variazione di direzione, relativamente ai piani di riferimento, che per la declinazione può essere verso oriente od occidente e per l'inclinazione verso il basso o verso l'alto;
  2. l'AMPIEZZA angolare della variazione di direzione, misurata ancora relativamente ai piani di riferimento.
  3. l'AMPIEZZA della variazione d'intensità totale, o delle componenti orizzontale e verticale.

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VARIAZIONI SISMOMAGNETICHE

Le variazioni del campo magnetico terrestre legate a un sisma imminente sono di origine estranea al campo primario e si differenziano dalle altre fonti naturali di variazioni per possedere, contemporaneamente, la caratteristica di essere limitate sia nello spazio che nel tempo. Pur essendo anch'esse di origine crostale, si distinguono dalle anomalie crostali per la loro limitata presenza temporale, e si distinguono dalle perturbazioni magnetiche per la loro limitata estensione territoriale. Esse possono essere circoscritte spazialmente e temporalmente, e presentano un'evoluzione rapida e incisiva, costituendo la risultante delle particolarità delle linee di forza di due campi magnetici diversi: quello generale terrestre e quello che si genera in zona focale. Le variazioni del campo primario e  quelle degli altri campi che formano il campo terrestre, quindi, non costituiscono un problema, in linea teorica, per l'individuazione delle variazioni sismomagnetiche.
Da quando si è diffuso il magnetometro a precessione protonica, inventato da Packard e Varian nel 1954, il monitoraggio continuo del campo geomagnetico viene fatto sui valori dell'intensità totale. Questo strumento, in cui la misura di F è ricondotta alla misura di una frequenza, ha permesso di superare tutte le difficoltà di rilevamento dell'intensità assoluta presenti con i magnetometri tradizionali, garantendo una piena stabilità di funzionamento, anche con grosse alterazioni di temperatura e di umidità, e una precisione dell'ordine di 0,1 nanotesla. Oggi è l'unico magnetometro preso in seria considerazione negli osservatori fissi e viene molto usato anche come strumento portatile. Purtroppo, la comodità e la precisione che esso offre hanno una contropartita, che in questa sede risulta molto importante: le anomalie magnetiche si manifestano in modo molto diversificato, a seconda di come vengono misurate e degli elementi scelti, e una misurazione angolare delle anomalie di origine crostale risulta molto più indicativa e significativa di una misurazione scalare. Ad esempio, le anomalie non possono essere rilevate con misurazioni dell'intensità totale quando i campi magnetici sono normali al campo ambientale (J. Korenaga , 1995), condizione questa che si verifica proprio quando si misurano le variazioni sismomagnetiche in zona epicentrale.
Inoltre, si possono ricordare tre fatti di ordine sperimentale:
1) i ricercatori di pozzi petroliferi e di giacimenti minerari traggono poco aiuto da misurazioni del campo totale e, quando le condizioni di lavoro lo consentono, cercano di utilizzare strumenti che misurano direttamente le componenti;
2) le tabelle che riportano le variazioni geomagnetiche prima di terremoti importanti (Rikitake, 1976), e di solito prese ad esempio di misure poco attendibili fatte in passato, possono invece dimostrare come tali variazioni risultino consistenti se rilevate con misure angolari, un po' più deboli se misurate con le intensità delle componenti e del tutto lievi, tali da confondersi col rumore di fondo, se misurate con l'intensità del campo totale;
3) in generale, i valori rapportati alla declinazione, ma misurati con il campo totale, sono molto inferiori a quelli misurati direttamente con gli angoli, come si può dimostrare sulla base delle stesse variazioni diurne.
Nonostante che sia un dato di fatto scientificamente dimostrato, che le variazioni non possano essere rilevate bene con misurazioni dell'intensità totale, e nonostante ci siano varie osservazioni empiriche che lo avvalorino, a tutt'oggi (1997) non sono state sviluppate applicazioni sistematiche con altri strumenti.
Naturalmente nessuno vuole mettere in dubbio l'utilità e la precisione di certi magnetometri, si dice solo che si dovrebbe notare come la misurazione delle anomalie sia cosa sicuramente dipendente dal luogo dell'osservazione, dall'elemento osservato e dal tipo di strumento utilizzato; del resto, quello che qui interessa non è tanto la difficile determinazione di valori assoluti riguardanti il campo geomagnetico, ma soltanto le sue variazioni. La troppa sensibilità del resto può rivelarsi un ostacolo, a causa di disturbi di origine antropica, e sembra proprio che le variazioni sismomagnetiche si presentino con valori superiori al rumore di fondo solo se rilevate direttamente con misurazioni angolari.
Inoltre, per il motivo che le variazioni sismomagnetiche sono la risultante dell'azione di campi diversi, tra loro interagenti, durante un monitoraggio continuo del campo terrestre il rilevamento delle variazioni sismomagnetiche si riduce al rilevamento delle variazioni del campo complessivo terrestre sotto l'azione di un campo disturbatore temporaneo. Anche per questo una misurazione delle variazioni dell'intensità totale risulta meno significativa della misurazione delle componenti, essendo F l'elemento più forte e quindi meno influenzabile dal campo disturbatore.
In pratica, sono soprattutto le variazioni locali della direzione che permettono di apprezzare meglio l'entità del campo generatosi in zona focale, e questo fatto permette di utilizzare vantaggiosamente i variometri della direzione, descritti in questo lavoro, che, inoltre, sono molto meno costosi di quelli dell'intensità.
In modo particolare, a nord e a sud della fascia tropicale, è la declinazione a risentire maggiormente gli influssi di campi magnetici esterni, in quanto l'intensità della componente orizzontale H è circa la metà dell'intensità totale F del campo geomagnetico (H decresce fino al valore 0 in corrispondenza dei poli magnetici); mentre nella fascia tropicale è l'inclinazione che risente maggiormente di campi magnetici esterni (Z decresce fino al valore 0 in corrispondenza dell'equatore magnetico). La misurazione di entrambe le componenti si rivela, comunque, opportuna anche per quei casi, poco probabili ma non impossibili, in cui il luogo di misurazione si trovi esattamente a Nord o a Sud della zona focale. In ogni caso, a parità di altre condizioni, maggiori sono le variazioni rilevate, siano esse di ampiezza angolare o di intensità, maggiore è la forza del particolare campo magnetico che le determina (in questo caso quella che si genera dallo stato di stress delle rocce focali).

Diffusione delle variazioni sismomagnetiche
Come i terremoti dipendono nella loro origine dallo stato di stress delle rocce e come la propagazione delle onde sismiche subisce alterazioni dalla natura geologica e dalla consistenza del mezzo attraversato, così anche le variazioni sismomagnetiche dipendono dallo stress delle rocce e subiscono alterazioni dalla suscettività e permeabilità magnetiche dei luoghi in cui vengono rilevate.
I fattori più importanti che influenzano le variazioni possono essere così riassunti:

  1. la quantità delle masse rocciose in compressione e stiramento (volume focale);
  2. lo stato di stress delle masse rocciose in zona focale (stress focale);
  3. la distanza della zona focale rispetto al luogo di rilevamento;
  4. la profondità della zona focale.
  5. la suscettività e la permeabilità magnetiche complessive delle rocce in zona focale;
  6. la suscettività e permeabilità delle rocce componenti la parte di litosfera che separa la zona focale dal luogo di rilevamento;
  7. la suscettività e permeabilità delle rocce del luogo di rilevamento.

Come può essere facilmente notato, le rocce costituiscono il trattino d'unione nel legame tra terremoti e variazioni sismomagnetiche. La grandezza di queste variazioni e la grandezza di un terremoto, così come la loro diffusione e la propagazione delle onde sismiche, hanno reciprocamente molto in comune.

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Fine del Capitolo IV
© Copyright 1990-1997 by Enrico Barsanti



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