Enrico Barsanti
La teoria del sillogismo come aspetto particolare di un calcolo più
generale
Leibniz, che viene considerato il padre spirituale della moderna logica
matematica, si occupò approfonditamente della sillogistica tradizionale,
introducendovi importanti elementi di novità. La grande idea di Leibniz,
però, riguardava un calcolo generale di cui la sillogistica, come
del resto l'algebra e l'aritmetica, non erano altro che aspetti particolari:
«Vous parraissez faire l'apologie de la logique vulgaire, mais je vois
bien que ce que vous apportez appartient à une logique plus sublime,
à qui la vulgaire n'est que ce que les rudiments abécédaires
sont à l'érudition» (1). E come in tutti i
particolari si manifesta la presenza e la forza dell'universale che li regge
(secondo una vecchissima concezione filosofica), così nella teoria
del sillogismo è racchiusa quella Mathesis che è la
condizione senza la quale la sillogistica stessa non avrebbe validità
deduttiva. Il compito si volge, dunque, all'estrarre questa Mathesis
e a esplicarla in modo tale da essere riconosciuta in ogni ragionamento e
in ogni teoria possibili.
L'alfabeto dei pensieri umani
Ad appena quattordici anni, Leibniz ebbe l'intuizione di poter ricercare
la classificazione dei termini complessi, cioè le proposizioni, nel
momento in cui essi danno luogo a un sillogismo, allo stesso modo con cui
si classificano i termini semplici nei predicati che garantiscono le proposizioni
(2). Vale a dire che Leibniz aveva intuito che come i predicati
erano necessari per esprimere le proposizioni, così vi doveva essere
una forma, ancora più astratta dei predicati, che permettesse di fare
i sillogismi, cioè che fosse necessaria per le deduzioni in genere
(3). E meditando sulla classificazione delle proposizioni, ritenne
di dover credere che tutte le proposizioni possano ridursi, per scomposizione,
a un piccolo numero di proposizioni primitive e indefinibili. Così,
facendo una enumerazione completa di tali proposizioni primitive (verità
elementari di tutti i pensieri) che costituiscono l'ALFABETO DEI PENSIERI
UMANI, e combinandole poi insieme con un procedimento combinatorio, sarebbe
possibile ottenere tutte le proposizioni complesse dei pensieri, esattamente
come le parole e le frasi del discorso sono le combinazioni di un piccolo
numero di lettere dell'alfabeto (4).
La logica dell'invenzione
Il procedimento combinatorio, con cui si passa dalle proposizioni primitive
a quelle complesse, sarebbe un calcolo infallibile, la medesima Ars
Combinatoria, che non solo è la base della logica tradizionale,
ma più particolarmente di una nuova Logica dell'invenzione
(5).
Un problema fondamentale della Logica dell'invenzione
Un problema fondamentale di questa nuova logica dell'invenzione consiste,
essendo dato un soggetto, nel trovare tutti i suoi predicati possibili ed,
essendo dato un predicato, nel trovare tutti i suoi soggetti possibili
(6), cioè nel trovare tutte le proposizioni VERE in cui
figura un termine una volta come soggetto e una volta come predicato
(7). Quindi nel trovare tutte le combinazioni possibili che
permettono, dati due termini, di costruire proposizioni vere.
Leibniz dà un esempio di come possa funzionare l'arte combinatoria
nel calcolo generale. Da principio, egli dice (8), si dovrà
analizzare un termine qualsiasi dandone la definizione. Questa definizione
sarà basata su altri termini, che a loro volta dovranno essere definiti,
finché non si arriverà a dei termini primi non ulteriormente
definibili (9). Questi ultimi saranno considerati i termini del
primo ordine, che si raduneranno in una stessa classe, e saranno designati,
ad esempio, con numeri (primi) (10). A questo punto, combinando
due a due tutti i termini del primo ordine, si otterrà una seconda
classe, detta del secondo ordine. Combinando tre a tre i termini del primo
ordine, o uno del primo con uno del secondo, si otterrà una terza
classe, detta del terzo ordine. E così di seguito (11).
Ogni termine composto, essendo una combinazione di termini (primi), sarà
rappresentato dal prodotto dei numeri che corrispondono alle sue parti; e
ciò costituirà anche la sua definizione.
Ad esempio, se un termine composto sarà una combinazione di tre termini
(primi) rappresentati dai numeri 2, 3 e 5, esso sarà rappresentato
dal prodotto "2·3·5", cioè dal numero 30 (12).
Per semplificare le cose, ciascun termine del terzo ordine potrà essere
anche il prodotto di un termine del primo e di un termine del secondo; ciascun
termine del quarto ordine potrà essere anche il prodotto di due termini
del secondo o di un termine del primo e di uno del terzo, e così di
seguito.
Per designare poi i termini di ordine superiore al primo si userà
una frazione, scrivendo al denominatore il numero d'ordine della classe,
e al numeratore il numero del termine in quella classe. Ad esempio, 2/3
designerà il secondo termine della terza classe (od ordine)
(13).
Questa classificazione dei termini è esatta e univoca perché,
se anche uno stesso termine, ad esempio quello rappresentato dal numero 30,
può essere espresso con uno dei seguenti prodotti: 6·5, 3·10,
2·15, ecc., ciò nondimeno esso non può essere soggetto
a svariate interpretazioni, perché la sua scomposizione in termini
primi (fattori primi) è unica: 2·3·5, e indica che esso
è un termine del terzo ordine (14).
Con questo modo d'intendere l'arte combinatoria applicata alla logica (che
possiamo definire aritmetico), è chiaro che è facile, dato
un termine, trovare tutti i suoi predicati possibili. Infatti questi sono
tutti i suoi fattori primi e le combinazioni parziali che si ottengono da
essi (15). Ad esempio, sia un termine espresso dal numero 210.
I suoi fattori primi sono pertanto 2, 3, 5, 7. Questi numeri sono suoi predicati
perché ognuno esprime una sua qualità che fa parte della sua
comprensione e della sua definizione. Per lo stesso motivo sono suoi predicati
le combinazioni che si ottengono combinando i suoi numeri primi: 2·3,
2·5, 2·7, 3·5, 3·7, 5·7, 2·3·5,
2·3·7, 2·5·7, 3·5·7, 2·3·5·7
(per un totale di 15 predicati possibili), cioè tutti e solo quei
numeri che lo dividono interamente.
Vi è una formula che esprime il numero dei predicati possibili di
un termine dato. Essa è 2k-1, dove k è
il numero dei fattori primi del termine dato, cioè la sua classe di
appartenenza. Esempio, i predicati aritmeticamente possibili del termine
210, dove k = 4, sono 24-1 = 15 (16).
Per contro è altrettanto facile, dato un termine, trovare tutti i
suoi soggetti possibili. Infatti, essendo ciascun termine un predicato di
tutti i prodotti in cui esso compare come fattore, bisogna trovare tutti
i prodotti che contengano come fattore quel termine dato (17).
Ad esempio, siano dati i seguenti fattori primi: 2, 3, 5 e 7. Si vogliono
trovare tutti i soggetti possibili del termine 3, cioè tutti i prodotti
in cui compare come fattore il termine 3. Essi sono: 2·3, 3·5,
3·7, 2·3·5, 2·3·7, 3·5·7,
2·3·5·7 e il termine 3 stesso. Cioè, essendo n il
numero totale dei fattori primi, il numero dei soggetti possibili di un termine
primo dato è 2n-1, e in questo caso 24-1
= 23 = 8 soggetti possibili.
Ora, però, un termine dato può essere composto a sua volta
da un certo numero di termini primi (fattori primi). Se k è
il numero di tali fattori primi che compongono il termine dato, il numero
dei prodotti richiesti (cioè quelli in cui compare il termine dato)
è il numero delle combinazioni possibili degli n-k altri
termini.
Ad esempio, siano dati al solito i seguenti fattori primi: 2, 3, 5 e 7. Si
vogliono trovare tutti i soggetti possibili del termine 15, cioè tutti
i prodotti in cui compare come fattore il termine 15 (3·5). Essi sono:
2·15, 7·15, 2·7·15 e il termine 15 stesso. Cioè,
essendo n il numero totale dei fattori primi e k il numero
dei fattori primi che compongono il termine dato, il numero dei soggetti
possibili di un termino dato è 2n-k, e in questo
caso, essendo n = 4 e k = 2, 24-2 = 4 soggetti possibili
(Cfr. L. Couturat, La logique de Leibniz, p. 44).
Un altro problema fondamentale della logica dell'invenzione
Un altro problema fondamentale della logica dell'invenzione consiste, essendo
dato un termine qualunque come soggetto e un altro termine qualunque come
predicato, nel trovare il termine medio; cioè nel trovare tutti gli
argomenti (sillogismi) per i quali si può dimostrare una proposizione
data (conclusione) (18). In altre parole, consiste nel trovare
tutte le conternazioni possibili che permettano, dati tre termini in un certo
rapporto, di costruire deduzioni valide.
Ora è chiaro che se la proposizione concludente un sillogismo è
una universale negativa, il termine medio se ha rapporti (di predicato o
di soggetto) col termine soggetto non dovrà averli col termine predicato,
e viceversa. Dimodoché, una volta trovati tutti i predicati del soggetto
e tutti i soggetti del predicato (con le regole e le formule precedentemente
viste), il numero dei termini medi cercato sarà il numero che si ottiene
sommando insieme il numero dei predicati del soggetto con il numero dei soggetti
del predicato. E ogni sillogismo che si otterrà impiegando quei termini
medi sarà un sillogismo valido (19).
Si possono poi trovare quanti sono i termini medi di un soggetto e di un
predicato, appartenenti a una qualsiasi delle altre proposizioni categoriche,
con procedimenti studiati a proposito. (Gli esempi, però, dati da
Leibniz nel De arte combinatoria sono errati, coma nota il Couturat)
(20).
Vantaggi dell'arte combinatoria
Su questa strada possiamo con la sola arte combinatoria impostare i calcoli
adatti a risolvere proposizioni e procedimenti dimostrativi ancora più
complessi. Ed è chiaro che i vantaggi che si ricavano da quest'arte
sono soprattutto di ordine pratico, di facilitazione ed esemplificazione
del ragionare, permettendo di calcolare ogni proposizione complessa, e quindi
ogni deduzione da premesse date, senza incorrere nei possibili errori che
il ragionamento discorsivo, sia pur non attenendosi a una logica delle essenze,
spesso lascia inosservati.
La scelta degli elementi ultimi
Chi volesse però, a questo punto, applicare nella pratica dei pensieri
umani l'idea di Leibniz di arrivare, attraverso l'analisi delle proposizioni,
alle proposizioni ultime, o categorie, che costituiscono l'alfabeto dei pensieri
umani, e poi volesse, servendosi di una tecnica infallibile come il calcolo
matematico delle combinazioni, combinare tra loro tutti gli elementi ultimi,
ottenendo una serie infinita di nuovi pensieri, si troverebbe in un grosso
imbarazzo proprio nel dover scegliere gli elementi ultimi. Cartesio, ad esempio,
aveva già affrontato un problema del genere e aveva concluso che era
impossibile arrivare a conoscere gli elementi ultimi, perché essi
richiedono la conoscenza della "vera Filosofia" (21).
Il modello leibniziano della logica
Però, se da una parte l'ambizioso progetto di Leibniz sembra non poter
essere realizzato (nonostante la fondazione di una Enciclopedia per ricercare
gli elementi ultimi), dall'altra esso offre un modello valido d'intendere
la logica, cioè il vero ragionamento (come diceva Leibniz), come un
calcolo di tipo matematico. Infatti, in logica (cioè nel calcolo)
non è importante la ricerca degli elementi ultimi, quanto invece la
scelta dei segni che servono a rappresentarli. Andrà trovata in questa
interpretazione il successo che Leibniz ottenne agli inizi del nostro Secolo
con la nascita della moderna logica simbolica (che è anche logica
matematica), successo che lo pose come padre spirituale della logica moderna
(22).
L'alfabeto caratteristico
Da principio, per Leibniz, l'arte delle combinazioni era associata al progetto
di istituire una lingua universale (cioè un sistema di segni universale),
progetto molto comune e alla moda ai suoi tempi. Caspar Schottus, Kenelm
Digby, J. Becher, A.Kircher e, soprattutto, Wilkins e Dolgarno erano tutti
esperti in questo progetto. Kircher aveva già avuto l'idea d'impiegare
l'arte combinatoria per costruire la sua lingua universale (23).
Ma mentre tutti questi studiosi non riuscivano a trovare niente di meglio
che attribuire un medesimo segno per le varie espressioni sinonime delle
diverse lingue, come una specie di scrittura convenzionale e arbitraria (tali
progetti miravano ad abbattere le barriere linguistiche che separano i popoli
di diversa cultura, e quindi sfatare la maledizione biblica della torre di
Babele), Leibniz voleva arrivare a una scrittura universale, semplice da
apprendere e da ricordare, basata su un fondamento logico, cioè su
un'analisi completa dei concetti e sulla loro riduzione a dei termini primitivi,
i quali dovevano essere rappresentati con segni naturali e appropriati, da
una specie cioè di alfabeto del tutto caratteristico.
Importanza dei caratteri
Sull'importanza dei segni non c'erano dubbi: «Ogni ragionamento umano
si attua mediante certi segni o caratteri» (24). Infatti
non solo gli stessi oggetti fisici, ma anche le idee che abbiamo di essi,
non possono e non devono essere osservati o pensati ogni volta direttamente,
perché ciò comporterebbe una inutile perdita di tempo. Se un
geometra, tutte le volte che nomina l'iperbole o la spirale o la quadratrice
fosse costretto a raffigurarsi le loro definizioni, arriverebbe a scoprire
nuove verità in modo estremamente lento. Se un matematico pensasse,
mentre calcola, ai valori delle operazioni e al numero corrispondente delle
cifre, difficilmente riuscirebbe a calcolare operazioni più complesse
di "2+2 = 4". Il segno 10284 denota un numero molto preciso in
aritmetica, ma non è possibile che un uomo riesca ad avere una idea
chiara di un numero così grande alla stessa maniera di come ha un'idea
chiara del numero espresso dal segno "2" (25). Quest'ultimo esempio
ci dimostra non solo che i segni abbreviano il calcolo, ma che anche sono
indispensabili per esprimere idee che non possono essere osservate direttamente.
Per questo si dànno nomi alle figure e alle varie specie di cose,
e in matematica si sono attribuiti segni ai numeri e alle grandezze
(26). «Nel numero dei segni comprendo dunque le parole, le
lettere, le figure della chimica, le figure astronomiche, cinesi, geroglifiche,
le note musicali, i segni steganografici, aritmetici, algebrici e tutti quelli
che usiamo al posto delle cose quando ragioniamo. I segni scritti o disegnati
o scolpiti si chiamano (anche) "caratteri"» (27).
Contrasti nella scelta dei caratteri: la lingua adamitica e la lingua
matematica
Ma la scelta dei segni non è facile, e Leibniz non ebbe sempre le
idee molto chiare a questo proposito. Da principio (28), ma anche
più tardi (29), la presupposta naturalezza e la
semplicità dei segni sembravano orientare Leibniz per una scelta di
tipo ideografico, quali quelli dei Cinesi e degli Egiziani, che potessero
parlare direttamente agli occhi senza passare per il tramite della parola,
ed essere facilmente riconosciuti da ogni popolo della Terra per il loro
modo unico e chiaro di rappresentare sia le cose fisiche, sia i concetti
astratti. Si trattava di trovare una lingua originale, cioè adamitica,
in cui ogni parola avesse una corrispondenza reale e immediata con l'oggetto
denotato (fisico o astratto), in cui bastasse riflettere sul segno per conoscere
la cosa.
Nonostante questo, nelle opere più importanti e specifiche che riguardano
tale ricerca (30), sebbene Leibniz sia consapevole che i segni
dell'alfabeto dei pensieri umani non debbano essere convenzionali, egli afferma
che essi non dovrebbero neppure essere ideografici: «Tanto più
utili sono i segni quanto maggiormente esprimono la nozione della cosa denotata,
in maniera che possano servire non solo alla rappresentazione, ma anche al
ragionamento. Nulla di ciò offrono i caratteri dei chimici e degli
astronomi... E non ritengo che le figure dei Cinesi e degli Egiziani possano
giovare molto a trovare delle verità» (31). Intravedendo
così che il vero scopo della lingua (come sistema di segni) è
ragionare, trovare delle verità. E «la lingua adamitica o sicuramente
la sua forza che alcuni pretendono di conoscere asserendo di poter penetrare
le essenze delle cose nei nomi imposti ad esse da Adamo, a noi è di
certo ignota» (32).
L'idea di Leibniz era di trovare dei segni che avessero una corrispondenza
"reale" non con le cose e con i concetti, ma con il calcolo; che è
il modo "reale" di scoprire le relazioni tra cose o concetti. Segni, cioè,
che non potevano essere scelti a caso, che non potevano essere convenzionali
(come quelli dei chimici e degli astronomi), dovendo essere tali da favorire
il calcolo; ma che neppure, per lo stesso motivo, potevano essere ideografici
(come quelli dei Cinesi e degli Egiziani).
Il modello matematico
Leibniz aveva in mente di trovare un sistema di segni che, sul modello di
quello aritmetico e algebrico, assicurasse lo svolgimento corretto del
ragionamento. «Le lingue ordinarie, sebbene siano assai utili al
ragionamento, sono tuttavia soggette a innumerevoli equivoci e non possono
sostituire il calcolo, in modo cioè che gli errori di ragionamento
possano essere scoperti dalla stessa formazione e costruzione delle parole,
come se si trattasse di solecismi e barbarismi. Ma questo mirabile vantaggio
finora lo offrono i soli segni degli aritmetici e degli algebristi per i
quali ogni ragionamento consiste nell'uso di caratteri e ogni errore mentale
è lo stesso che un errore di calcolo» (33).
La matematica come aspetto particolare della Lingua Universale
Ma con ciò non si deve assolutamente intendere che Leibniz volesse
ridurre il pensiero deduttivo all'aritmetica o all'algebra, e alla matematica
in generale. Come ha ben rilevato G. Vailati (34), sarebbe
fraintendere il significato delle idee di Leibniz riguardo a un calcolo generale
logico di tipo algebrico, il qualificarle come miranti ad applicare l'algebra
alla logica, o a introdurre in questa i concetti di quantità, uguaglianza,
disuguaglianza, ecc.. L'algebra infatti rappresenta soltanto un esempio di
come la scoperta di un'adeguata caratteristica sia utile al calcolo.
Quanto più generali ed elevate fossero le vedute di Leibniz in proposito,
risulta da un brano di lettera (del 1684) da lui diretta allo Tschirnhaus,
nel quale, alludendo al Malebranche, dichiara: «Il y a quantité
de jolies pensées dans la "Recherche de la verité", mais il
s'en faut beaucoup que l'auteur ait penetré bien avant dans l'analyse
et generalement dans l'art d'inventer, et je ne pouvois n'empecher de rire,
quand je voyois qu'il croit l'Algebre la premiere et la plus sublime des
sciences, et que la verité n'est qu'un rapport d'egalité et
d'inegalité, que l'Arithmetique et l'Algebre sont les seules sciences
qui donnent à l'esprit toute la perfection et toute l'entendue dont
il est capable, enfin que l'Arithmetique et l'Algebre sont ensemble la veritable
logique. Et cependant je ne voy pas que luy même ait grande connoissance
de l'Algebre. Les louanges qu'il donne à l'Algebre se devroient donner
à la Symbolique en general, dont l'Algebre n'est qu'un echantillon
assés particulier et assés borné»
(35).
Leibniz vedeva in queste sue ricerche sulla logica il germe di una
generalizzazione dei processi stessi dell'algebra, in quanto esse tendevano
a porre in luce il vantaggio che questi offrivano, e non erano per sua natura
limitate al caso delle relazioni che possono sussistere tra quantità
o tra numeri, ma erano suscettibili di essere estese a qualunque genere di
"relazioni", tra le quali quelle di uguaglianza e diseguaglianza (le sole
considerate dall'algebra) non rappresentavano che un caso particolare.
Alla possibilità di una scienza generale delle relazioni, a cui egli
dà il nome di "Characteristica generalis" o "Ars combinatoria", e
che egli reputa «longe majora continere quam algebra», egli non
cessa mai di fare allusione in molti suoi scritti. E se la geometria dipende,
nella correttezza delle sue dimostrazioni, dai "caratteri" dell'algebra,
e se non può essere trattata analiticamente che ricorrendo ai numeri
e alle lettere, ciò si deve al fatto che questi sono i segni più
maneggevoli e più appropriati (per rappresentare le figure e le
costruzioni geometriche) che conosciamo al momento presente (36).
Per questo Leibniz si dedicò alla ricerca di una CHARACTERISTICA
GEOMETRICA fin dal 1679: «Mais après tous les progres que j'ay
faits en ces matieres, je ne suis pas encore content de l'Algebre, en ce
qu'elle ne donne ny les plus courtes voyes, ni les plus belles constructions
de Geometrie. C'est pour quoy... je croy qu'il nous faut encor une autre
analyse proprement geometrique linéaire, qui nous exprime directement
situm, comme l'Algebre exprime magnitudinem. Et je croy d'en
avoir le moyen, et qu'on pourroit representer des figures et mesme des machines
et mouvemens en caracteres, comme l'Algebre represente les nombres ou grandeurs;
et je vous envoye un essay qui me paroist considerable» (37).
In questo Essay Leibniz sviluppò e precisò l'idea di
«cette analyse veritablement geometrique» (38): «J'ai
trouvé quelques éléments d'une nouvelle caracteristique,
tout à fait différente de l'Algebre, et qui aura des grands
avantages pour representer à l'esprit exactement et au naturel, quoyque
sans figures, tout ce qui dépend de l'imagination».
La ricerca dei "caratteri" e la scoperta del calcolo
infinitesimale
In un'altra lettera allo Tschirnhaus (del 1678), Leibniz difende i suoi studi
per le "caratteristiche" proprie di ogni scienza, dicendo: «Eseguo inoltre
questo calcolo (infinitesimale) mediante certi nuovi segni di meravigliosa
comodità, circa i quali, avendoVene scritto in precedenza, mi rispondete
che è più ordinario ed intelligibile il vostro modo di espressione
e che rifuggite al massimo dalla novità nelle definizioni. Ma avrebbero
potuto obiettare la medesima cosa i vecchi aritmetici, quando quelli più
moderni introdussero i caratteri arabi in luogo di quelli romani, o i vecchi
algebristi quando il Vieta sostituì le lettere ai numeri. Nei segni
va considerata la comodità in funzione dello scoprire, la quale è
massima quando con poco esprimono e quasi ritraggono la natura intima della
cosa, poiché così diminuisce mirabilmente la fatica del
pensare» (39). E, quindi, attribuendo ai suoi studi sulla
"caratteristica" il merito di aver scoperto il calcolo infinitesimale.
La Lingua Universale e la Scienza Generale
In questo senso va intesa la ricerca di una LINGUA CHARACTERISTICA UNIVERSALIS,
un sistema di segni, cioè, ognuno dei quali corrisponda a ognuna delle
idee primitive che formano l'alfabeto dei pensieri umani, e che sia adatto
a costruire, con delle semplici regole di calcolo, tutte le idee complesse
(o pensieri) della nostra mente, in modo tale che a ogni pensiero falso
corrisponda un errore di calcolo e a ogni pensiero vero una corretta applicazione
delle regole del calcolo; così come è possibile, attraverso
il calcolo, determinare la verità o la falsità delle proposizioni
dell'aritmetica e dell'algebra. Leibniz riteneva, infatti, che il sistema
di segni dell'aritmetica e dell'algebra, rispettivamente le cifre arabe e
le lettere introdotte da Vieta, rappresentassero lo strumento più
adatto ad assicurare in queste scienze il ragionamento attraverso il calcolo;
e che ciò costituisse un esempio della possibilità di attuare,
mediante "caratteri", il calcolo anche nel ragionamento in generale. Ed è
questa concezione dell'arte caratteristica che costituisce il vero modo
d'intendere la logica, in modo che essa sia universale e applicabile a ogni
scibile umano: «Quest'arte caratteristica, della quale ho concepito
l'idea nella mia mente, contiene il Vero Organo della Scienza Generale di
tutto ciò che cade sotto l'umano ragionamento» (40).
La Logica come fondamento della Scienza
La logica è, dunque, scienza dei segni, e come tale è generale
e indispensabile a ogni altra scienza. Così che anche l'empirista
Filalete dei Nuovi Saggi può a questo punto asserire:
«Incomincio a farmi della logica un'idea completamente diversa da quella
che ne avevo un tempo. La consideravo un gioco da scolaro e ora vedo che
c'è una specie di matematica universale nel modo in cui voi la
intendete» (41).
F. Barone, Leibniz, scritti di logica, Bologna, 1968
L. Couturat, La logique de Leibniz d'après des documents inédits, Paris, 1901
C. I. Gerhardt, Die philosophischen Schriften von G. W. Leibniz, Berlino, 1875-1890, 7 voll. è la più completa raccolta delle opere filosofiche di Leibniz.
C. I. Gerhardt, Leibnizens mathematischen Schriften, Berlino e Halle, 1849-1863 in 7 voll. è l'edizione più completa degli scritti di matematica, fisica, caratteristica e Mathesis Universalis.
G. W. Leibniz, Dissertatio de Arte combinatoria, in Gerhardt, Phil., IV e in Gerhardt, Math., V
G. W. Leibniz, Elementi di filosofia, in Gerhardt, Phil., VII
G. W. Leibniz, Nouveaux Essais, in Gerhardt, Phil., V
G. W. Leibniz, Nuovi saggi sull'intelletto umano, 2 voll. Bari, 1909
G. W. Leibniz, Saggio sulla caratteristica, in Gerhardt, Phil., VII
H. Scholz, Breve storia della logica. Milano, 1967.
G. Vailati, Sul carattere del contributo apportato da Leibniz allo sviluppo della logica formale, in "Rivista di Filosofia e scienze affini", anno VII, Vol. I (XII) n. 5-6, Mag.-Giug. 1905.
Fine
© Copyright 1976-1997 by Enrico Barsanti
Prima edizione su Internet: 18 agosto 1997